Piero Calamandrei

Nasce a Firenze il 21 aprile 1889 da una famiglia di giuristi; il padre Rodolfo era professore di diritto commerciale e fu deputato repubblicano dal 1906 al 1908. Anche Piero intraprende gli studi giuridici e si laurea a Pisa nel 1912. La sua prima opera giuridica, pubblicata nel 1920, è dedicata alla Cassazione civile.

Nel 1915 è nominato professore di procedura civile all’Università di Messina; nel 1918 è chiamato all’Università di Modena, nel 1920 a quella di Siena e nel 1924 alla nuova Facoltà giuridica di Firenze, dove tiene fino alla morte la cattedra di diritto processuale civile.

Partecipa alla Grande Guerra come ufficiale volontario combattente nel 218° reggimento di fanteria ed è tra i primi ufficiali ad entrare a Trento. Negli anni dell’ascesa del fascismo fa parte del consiglio direttivo dell’«Unione Nazionale» fondata da Giovanni Amendola ed è tra gli animatori del Circolo di cultura di Firenze promosso da Salvemini e dai fratelli Rosselli, collaborando al «Non mollare». Nel 1925 sottoscrive il manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce.

Nel 1940-41 assieme a Francesco Carnelutti e a Enrico Redenti collabora alla redazione del Codice di procedura civile.

Nel 1941 aderisce a «Giustizia e Libertà» e nel 1942 è tra i fondatori del Partito d’Azione.

Nel 1943 si dimette da professore universitario per non sottoscrivere una lettera di sottomissione al «duce» richiesta dal Rettore.

Nominato Rettore dell’Università di Firenze dopo il 25 luglio 1943, dopo l’8 settembre è colpito da mandato di cattura, cosicché esercita effettivamente il suo mandato dal settembre 1944, cioè dalla liberazione di Firenze, all’ottobre 1947.

Accademico nazionale dei Lincei, direttore dell’Istituto di diritto processuale comparato dell’Università di Firenze, direttore con Carnelutti della «Rivista di diritto processuale», con Finzi, Lessona e Paoli della rivista «Il Foro toscano» e con Alessandro Levi del «Commentario sistematico della Costituzione italiana», nell’aprile del 1945 fonda la rivista politico-letteraria «Il Ponte».

Presidente del Consiglio nazionale forense dal 1946 alla morte, fa parte della Consulta Nazionale e della Costituente in rappresentanza del Partito d’Azione. I suoi interventi nei dibattiti dell’assemblea hanno larga risonanza: sul piano generale della Costituzione, sugli accordi lateranensi, sulla indissolubilità del matrimonio, sul potere giudiziario.

Nel 1948 è eletto deputato per «Unità socialista». I momenti più significativi della sua azione parlamentare sono il voto contro il Patto atlantico e la battaglia contro la legge elettorale maggioritaria del 1953, posizioni assunte anche in contrasto con gli orientamenti del proprio partito.

Impegnato in conferenze e iniziative in difesa della attuazione della Costituzione e in memoria della Resistenza, raccoglie nel 1955 i suoi discorsi e le sue epigrafi nel volume laterziano “Uomini e città della Resistenza”

Dopo le lezioni messicane su “Processo e democrazia” del 1952, nel 1955 guida la prima delegazione culturale italiana nella Repubblica popolare cinese, dedicando poi alla visita un numero speciale de “Il Ponte”.

Nel 1956 saluta la nascita della Corte costituzionale e partecipa alla sua prima udienza, e pronuncia la sua ultima grande arringa, in difesa di Danilo Dolci, con l’appello ai giudici a seguire le “leggi di Antigone”, compendiate nella Costituzione repubblicana.

Muore a Firenze il 27 settembre 1956.